venerdì 12 luglio 2013

Mind your Ps and Qs. Please. Thank you.

Sapete, è più facile di quel che si pensa. O almeno, gli inglesi lo sanno bene. Loro. Cosa? Quanto sia importante l'essere 'polite'. Me ne sono accorta proprio ieri, camminando per Bologna. Passavo accanto ai tavolini di uno dei mille posti che nella stagione estiva decidono di portare un po' di allegria tra le strade della Dotta e che ospitano commensali non sempre premio Nobel della cortesia (ma questo è vero ovunque, mi raccomando, mica solo a Bologna!). A me, comunque, ieri, è andata bene. Come dicevo, passavo accanto a uno di questi tavolini e la ragazza seduta a uno dei due capi lancia senza pensarci troppo su la cicca della sigaretta ormai finita. ...E? E ovviamente quasi mi centra i piedi. 



Mi giro e lei fa: "Scusa!" 




Io accetto con un gran sorriso e continuo per la mia strada. 




Ora, non dico che una misera parolina di 5 lettere possa essere abbastanza per alleviare dolore, pena e rabbia se il torto subito è molto più grave di una sigaretta finita ma non spenta che ti ha quasi centrato i piedi. Però, personalmente, conta molto davvero. Che siate d'accordo o meno (tenetelo a mente: qui volano pensieri!), 'scusa' è una parola magica che a volte 'does the trick' (vi avevo detto che prima o poi sarebbero arrivate le sperimentazioni. Ebbene, si comincia con quelle linguistiche). Tante volte mi sono scontrata con passanti disattenti, o meglio con i loro bagagli. Beh, quelli che mi hanno chiesto scusa, sicuro neanche forse, non li ho certo mandati al diavolo. Ripeto, ovvio che c'è torto e torto, ma non è difficile essere un po' più attenti agli altri e rendersi conto che ognuno ha diritto al proprio spazio. E se lo si invade penso sia buona abitudine riconoscerlo con tante scuse. Ovvio, non serve profondersi in servili inchini e giurare eterna obbedienza o strapparsi i capelli per chiedere misericordia. Basta solo chiedere scusa. Gli inglesi lo fanno. E gli americani pure! Se avessi dovuto fare un conto di tutte le volte che ho sentito pronunciare la parola 'sorry' sul campus di Chapel Hill avrei certo ottenuto una cifra alquanto significativa (forse sono solo io, ma noto un orribile calco dall'inglese. Cari amici traduttori, sempre che siate tra quelli che si imbattono in questi scritti e hanno anche il fegato di leggerli fino in fondo, vi chiedo scusa. Ecco, vedete?!?!?). Certo che un conto è 'meaning it seriously' e un conto è dirlo per abitudine. E forse, dicendo che basta sentire quella magica parolina per sentirsi meglio anche se chi la pronuncia non lo intende proprio sul serio, mi contraddico rispetto a quello che ho affermato l'altra volta sull'essere sempre sinceri con se stessi e il non prendersi in giro, ma credetemi che ha dei poteri straordinari. Ok, lo ammetto, mi hanno detto un sacco di volte che sono una che si scusa troppo. Lo confesso, me l'hanno detto anche negli Stati Uniti, dove quel 'sorry' superabusato mi ha comunque piacevolmente sorpresa. Quando me lo dissero in Germania non ci rimasi troppo stupita. Lì 'Entschuldigung' non vuol dire nulla. Cioè, manco sanno che esiste quella parola! Ed era proprio questo uno dei motivi per cui non vedevo l'ora di tornare a casa e depurarmi un po' dalla scortesia tedesca! Ovviamente questo prima delle vacanze di Natale, perché già due settimane dopo non vedevo l'ora di fare il viaggio inverso, così come una volta tornata in Italia a febbraio in via definitiva. Ma tant'è. 




Differenze culturali a parte, penso che un uso più massiccio della parola scusa, e intendo in banalissime situazioni come anche il lanciare una sigaretta dove non si dovrebbe, migliorerebbe tante cose, tra tutti. E comunque, permettetemi di dire che ho sparato anche una grossa fesseria. Differenze culturali a parte,  un corno! E sapete perché? Perché sono proprio quelle che rendono quasi impossibile ai tedeschi pronunciare la magica parolina dal suono più che marziale. E sono di nuovo quelle che rendono parchi in questo anche gli italiani. Con ciò, non sto sparando a zero su italici e teutonici solo perché non usano la parola 'scusa' quanto mi piacerebbe facessero, semplicemente il farlo darebbe la sensazione di essere coscienti dell'altro, del fatto di non essere i soli a calpestare il suolo a questo mondo e probabilmente ci renderebbe molto meglio disposti gli uni verso gli altri. Quando si dice 'se qualcuno non ti fa un sorriso donagli il tuo' è perché se si manifesta all'altro di sapere che esiste, forse anche l'altro farà lo stesso con te. Ora, che in giro ci siano dei trogloditi che se sorridi loro magari ti mandano a quel paese o ti dicono "Cosa ridi?" (tanto per essere fini) non lo metto in dubbio. Vero è che non tutti siamo così. E tuttavia se lo facesse un numero maggiore di persone, se un numero maggiore di noi fosse più attento agli altri, ora sorridendo, ora chiedendo scusa se pestiamo un piede a qualcuno o se lo colpiamo violentemente (e altrettanto involontariamente) con i nostri svariati bagagli perché stiamo andando più che di fretta, beh magari ci sveglieremmo tutti con un po' più di fiducia nel prossimo, nel mondo, in tutto. Ok. Forse dovevo dirlo subito che ho sono particolarmente affezionata alle associazioni libere e quindi ecco perché da una così insignificante parola (cioè, insignificante è esagerato, diciamo corta) come 'scusa' sono finita a parlare di una maggiore fiducia nel prossimo e nell'esistenza tutta. Ma a prescindere dalle mie preferenze filosofiche, pensateci su, non vi sentite meglio anche voi se qualcuno vi pesta un piede, se ne accorge e vi chiede scusa? Nel mio caso, poi, se sono io dalla parte del torto e chiedo scusa mi sento meglio in generale. Magari sto mascherando un atteggiamento egoistico (sicuramente nel caso in cui l'altra persona non sente nemmeno che le ho chiesto scusa e nemmeno si accorge che ho invaso in qualche modo il suo spazio e io però mi sento la coscienza pulita solo perché ho chiesto scusa e mi sono accorta di lei) però per esperienza posso dire che funziona. 




So what? Well, I just thank you if you say 'sorry' when accidentally throwing a still smoking cigarette at my feet :D




Been a pleasure as always.

Sissi

venerdì 5 luglio 2013

Regole del vivere bene, n.1: sii sincero con te stesso

"La verità mi fa male lo so", così cantava Caterina Caselli. E magari aveva anche ragione. Per certi versi. Forse. In certi casi. Può anche darsi. Ma in tutto questo tempo in (ri-)cerca dello swing, stupendosi ogni volta di essere qualcuno che non conoscevo, chiedendosi dove stessi andando, cosa stessi facendo, perché, se stessi facendo la cosa giusta e infine riuscendo -davvero?- a fare la cosa giusta, ho finito per capire che meglio dirsi le cose come stanno, da subito e senza mezzi termini. Non è che per forza si debba trattare di grandi temi della filosofia. Ma proprio per niente. Molto più spesso di quanto si creda -e forse si voglia- la vita pone l'essere umano davanti a situazioni apparentemente insignificanti che però devono comunque essere affrontate con la stessa sincerità di come si dovrebbe affrontare un interrogatorio presso una stazione di polizia -ok, guardo troppi telefilm, lo so- meglio dire la verità. Forse non ti crederanno (e sto sempre immaginando una situazione da film), cioè, dipende da chi ti trovi davanti, se persone con un briciolo di buon senso o no -argomento che magari un giorno popperà out su una di queste pagine virtuali- ma in generale almeno si sarà a posto con la propria coscienza. Ci si potrà alzare la mattina con la certezza di aver fatto e detto la cosa giusta. Ovvero, la verità.

Ok, vi starete domandando: Ma sicura che disquisire di onestà, di verità, di cosa sia giusto o sbagliato, sia proprio l'espediente migliore per attirare l'attenzione di chiunque abbia voglia di leggere queste righe e, magari, tenersela pure cara? D'altro canto, però, anche la verità è uno degli aspetti della vita quotidiana. Come ho detto prima, non bisogna per forza essere dei Nietzsche o dei giuristi o dei teologi per parlare di verità. Ci si imbatte nel potere della verità ogni giorno della propria vita, ogni piccolo gesto, ogni risposta a qualunque domanda può essere vera o falsa. E qual è quella giusta? Secondo la mia modesta opinione -evviva, esageriamo pure con le frasi fatte! Tutto il contrario di quello che sono abituata a fare quando scrivo, ma il momento della sperimentazione forse arriverà in futuro- penso che, a prescindere da chi ci si trova davanti, il gesto giusto e la risposta giusta siano quelli più veri. Il senso che do all'attributo 'vero' è 'autentico, proprio, personale, se vogliamo'. Con questo intendo che qualunque cosa sia ciò che sentiamo, se abbiamo voglia di fare qualcosa o meno, se pensiamo X invece che Y e così via, beh, quella è la risposta giusta, perché è vera, o meglio, autentica. Dire bugie è più facile di quanto si pensi. E con bugie intendo tutto ciò che non corrisponde al vero, all'autentico. 

Dico tutto questo perché 24 anni non saranno tanti, ma sono già un po'. E qualcosina ho vissuto, che mi sia piaciuto o meno, che sia stato facile o meno. Ma sono contenta, perché tutto quello di cui ho avuto esperienza mi ha fatto capire tante cose. E, tra le altre, anche che bisogna sempre essere sinceri con se stessi. E ovviamente con gli altri. E quindi, se non vi va di fare qualcosa, se pensate Z invece di K, se vi sentite così e non cosà, potrò facilmente sbagliarmi e liberissimi di pensare il contrario, ma penso sia necessario, sia benefico dirlo. Si tratta di un beneficio plurimo. Si evita di fare quello che non si vuole, ci si sente liberi di pensare Z invece di K e si fa onore alla propria psiche. Eh sì, perché dando spazio al non-autentico invece che a ciò che realmente si vuole, pensa e sente, si travia la visione di se stessi, si rischia di finire per convincersi di fare qualcosa che non si vuole, di pensare qualcosa che non si pensa, di non sentirsi nel modo in cui ci si sente. E d'altra parte, penso sia anche una forma di rispetto nei confronti degli altri. Ogni piccolo gesto, ogni parola non-autentica, potranno forse fare la felicità dell'altro per qualche breve -a volte brevissimo- periodo, ma a lungo andare, chi è davvero in grado di dirsi regolarmente qualcosa che non è? Di vivere in un modo che -seppure a un livello super-inconscio- si sa non corrispondere al modo in cui si vorrebbe vivere? Si potrebbe controbattere che la stia facendo troppo facile. Ovviamente non posso parlare per l'universo mondo, ognuno ha le proprie vicissitudini grandi e piccole e ognuno è libero di agire come preferisce e forse capita più frequentemente di quanto si pensi che purtroppo sono le circostanze a decidere per noi. E tuttavia, la mia esortazione sarebbe comunque di attenersi alla verità, di essere autentici in ogni singolo aspetto della propria vita ogni volta che la vita ci permette di scegliere liberamente e ci dà la possibilità di esprimere la nostra volontà, il nostro pensiero, il nostro stato d'animo.

Bene, fine della tirata filosofica. Questo però, come dice il titolo del blog, è uno spazio dove i pensieri volano liberi. E in fin dei conti non penso che l'idea di qualcuno debba invariabilmente restare uguale a se stessa nel tempo. D'altronde, io stessa tradivo molto spesso questa mia consapevolezza e, anche se forse ho avuto la sensazione che questa fosse la via -almeno per me, non l'ho mai effettivamente messa in pratica come adesso. Non voglio fare quel che non voglio, non voglio pensare quel che non penso, non voglio sentirmi come non mi sento. O meglio, non voglio dare l'impressione a me stessa né soprattutto a chi mi sta intorno di stare facendo qualcosa mentre invece non ho voglia di farla, di pensare una cosa invece che un'altra perché l'altro sta meglio se sa che io penso X invece che Y, di sentirmi in un modo e invece dentro reprimere tutt'altro stato d'animo (questo perché, personalmente, posso anche adorare la recitazione teatrale, ma a recitare nel mio quotidiano sono la peggior performer!). E quindi, più che posso, lascio spazio alla verità. Mi lascio essere autentica. E questo forse può far male a qualcuno per un po', e magari anche io mi insulto dicendomi che avrei potuto rispondere diversamente e interrogandomi su come si possa sentire chi ha assistito a questo mio eccesso di autenticità, ma penso che in fondo e in realtà sia sano per qualunque tipo di relazione ci sia con questo altro individuo. Perché essere autentici con se stessi e di conseguenza con gli altri permette a tutte le persone coinvolte nella detta relazione di comprendere cosa si può fare e se lo si può (e vuole) fare nel caso ci sia qualcosa da rimediare o sia semplicemente il caso di aggiustare il tiro. E una volta fatto... beh, les jeux sont faits e si tutti molto meglio. 

Che condividiate o meno il mio punto di vista, mi ha fatto comunque piacere esplicitarlo. E, a chiunque legga, mi farà piacere -se vi va- conoscerne di diversi!

A bien tôt,
Sissi

giovedì 4 luglio 2013

Hi, my name is...

Ed ecco che anche io mi ci sono fatta trasportare. Dove? Nel vasto mondo del blogging. Ok, forse la cosa non è più così in voga come qualche anno fa ma, a onor del vero, non posso giurarci perché ho resistito tanto al fascino del blogging e non ho ancora ben chiaro quanto in effetti sia pratica diffusa creare e curare un blog. E quindi... eccomi qui, comunque, solo perché è adesso che mi sento ispirata, è adesso che sento questo desiderio, questa vena creativa che, a differenza del passato, mi piacerebbe ora condividere. 


Scrivere è un'attività che ho sempre amato. Ho iniziato con il diario che ci hanno espressamente chiesto di tenere mentre io ero in seconda elementare e poi ho continuato. Ho iniziato a trattare il diario come il mio migliore amico piuttosto che averne uno in carne e ossa (triste, dite voi? Mah, forse solo un pochino). Quelle povere pagine ne hanno sentite di tutti i colori. E poi ho continuato. A scrivere ovunque. Qualunque pezzo di carta si trovasse a portata di mano nel momento in cui avevo bisogno, sentivo la necessità fisiologica di scrivere (e solitamente accadeva di notte, colpa dell'insonnia da eccessiva attività cerebrale) diventava il mio migliore amico e io ci scrivevo sopra, ci riversavo tutto quello che non potevo dire ad anima viva -per un puro motivo logistico, credetemi, non è bello svegliare nessuno alle due di notte perché una tredicenne in crisi di noia non sa proprio dove infilare i propri pensieri e godersi una bella notte di sonno. E poi, quando la carta ha iniziato a scarseggiare, io ho iniziato a usare il pc più compulsivamente, allora la tastiera qwerty è diventata la mia tastiera di pianoforte sulla quale le mie dita sfrecciavano veloci in perfetta sincronia con i pensieri, per riversare tutto quello che mi rubava il sonno su una memoria esterna, un supporto che avrebbe portato il fardello al posto mio e mi avrebbe alleggerito l'esistenza almeno un pochino. Ed è così che è nata la mitica cartella "Grafoterapia", la soluzione a tutti i miei problemi. C'è qualcosa che non va? Perché non lo scrivi? E ha funzionato. Sempre. E continua a funzionare. Anche se adesso è tutto un po' diverso. Prima di tutto adesso ho deciso di buttarmi su un blog, che -piaccia o meno- non vorrei tenere privato. Ok, cercherò di non importunare né imbarazzare nessuno e se un pensiero mi ruberà il sonno di nuovo ci penserò da sola a sbarazzarmene. Perché come dice il sottotitolo: qui volano sì pensieri, ma pensieri scaturiti da dettagli, non pensieri deleteri per la salute mentale di chiunque. Spero quindi di non risultare né noiosa né inopportuna. 



Ah, una cosa soltanto. Mi capita, a meno che non sia cambiato anche questo, di non apprezzare la concisione. Perciò, chiedo subito scusa se mai mi capiterà di dilungarmi troppo. Chissà se riuscirò a cedere alla tentazione senza diventare noiosa. Il giudizio, come si suol dire, ai posteri. 



Enjoy (hopefully)!

Sissi