giovedì 6 febbraio 2014

La voce di un libro

Ho per le mani uno di quegli oggetti che più rendono interessante la mia esistenza terrena. Un libro.

Intanto vorrei subito correggere il lessico improprio utilizzato poc'anzi, il quale si pone in relazione di estrema incongruenza con la specificazione successiva. Ho osato definire un libro un oggetto. Vorrei infatti precisare che tutto considero un libro tranne che un oggetto. Gli oggetti hanno tante caratteristiche che, per puro caso, probabilmente condividono con i libri, e sono quasi certa che per la grammatica italiana un libro possa essere benissimo considerato un oggetto. Ma sono altrettanto sicura che per me sia tutt'altro. Può darsi che un libro non sappia respirare, non sappia sentire, non sappia parlare. Quantomeno fin quando consideriamo queste capacità in termini umani. Un libro è privo di polmoni, di organi sensoriali e terminazioni nervose, di corde vocali. Eppure... Eppure un libro è in realtà capace di fare tutto quello di cui sopra.

Tornando al primo punto, ovvero il motivo per cui sono fisicamente impossibilitata a considerare un libro un oggetto, vorrei presentare un'insolita situazione. In effetti è un concetto semplice, un semplice avvenimento che mi accade a volte quando entro in un luogo pieno di libri: spesso succede che mi senta chiamata da uno di questi. Ok, ok, sembra inconcepibile. Un libro è grammaticalmente un oggetto e probabilmente lo è per la maggior parte di noi. Ma io vi assicuro che quello che mi faceva compagnia fino a pochi istanti fa mi ha proprio chiamata.

Non rivelerò adesso di che libro si tratta, vorrei piuttosto dirigere la vostra attenzione su un'espressione in particolare che ho appena usato per riferirmi al mio rapporto con il libro di cui sopra. Questo libro mi faceva compagnia. E adesso giù con il dire che sono frasi fatte, banalità, l'affermare che non ho per nulla inventato l'acqua tiepida. Vero. Tanti sono coloro i quali credono che un libro possa essere un amico, possa essere più che un ammasso di carta a volte colorata e forse un po' puzzolente -a meno che non si ami il libro in questione, e allora diventa un'incomparabile fragranza- e che, insomma, sia più di un semplice oggetto. Il punto è che io non lo considero affatto un oggetto.

Che la sua manifestazione fisica corrisponda a quello che grammaticalmente - e poi, sempre che non prenda una cantonata colossale, grammaticalmente per il popolo italico; sono quasi certa che non tutte le culture la vedono allo stesso modo, oppure, se volete, passatemi il lusso della speranza che le culture mondiali siano talmente varie che anche le idee di oggetto e di grammatica possano variare da una latitudine a un'altra- è un oggetto è solo una constatazione. Che quello che si manifesta fisicamente e corrisponda -per noi- grammaticalmente a un oggetto è un'opinione generale. Ma proprio perché un libro non è -in questo caso, per me- un oggetto, quella generale non può essere quella che abbraccio personalmente. E questo proprio perché è il libro che, di solito, mi chiama. Lo so, somiglia un po' alla storia delle bacchette che scelgono il mago, va bene, però vi spiego anche perché arrivo a pensarla così.

Quando ho deciso di compiere una follia e arricchire la mia biblioteca del libro con il quale mi stavo intrattenendo poc'anzi, ho preso la mia decisione in seguito a un impulso irrefrenabile. Si può confondere con quell'impulso che attrae le donne a un vestito o a qualunque cosa dia loro la possibilità di spendere soldi -o, a detta delle donne, me compresa- a concedersi una seduta di shopping-terapia. Ma non è la stessa cosa. E una banale conferma di ciò è il fatto che lo stesso mi accade in una biblioteca pubblica. Non sono io che scelgo il libro. È il libro che chiama me. È come se quel determinato volume mi conoscesse, mi RIconoscesse e sapesse con certezza di essere quello che fa per me. Perché? Beh, perché ha un titolo accattivante, l'ha scritto un autore sconosciuto anche da se stesso, è ambientato a Parigi, racconta una storia struggente e densa, rappresenta una vita. E proprio questo è il punto di partenza di un'ulteriore spiegazione del perché non considero un libro un oggetto.

Dietro a ogni singola pagina, oltre le persone che hanno contribuito con il loro lavoro a rendere quel libro in tutto e per tutto simile a ciò che per noi è un oggetto dal punto di vista fisico e grammaticale, ci sono numerose altre vite, mille respiri, sospiri disperati, sensazioni, emozioni, esperienze, avvenimenti, insomma, niente che abbia a che vedere con un oggetto fisico e grammaticale. Sarà un portare il tutto agli estremi, ma oltre allo sforzo creativo dell'autore, la prima persona dietro a questo oggetto-nonoggetto, c'è la vita del narratore, che ho imparato non sempre corrisponde a quella dell'autore, e c'è quella di tutti i singoli personaggi (fino ai più insignificanti), tra i quali non è detto sia compresa quella del narratore. Un libro è quindi respiri, pensieri, parole, azioni, conscio e inconscio, sogno e realtà, movimento, silenzio, passione, dolore, gioia infinita, solitudine e mille altre cose ancora. Ed è per questo che non è strano che sia il libro a chiamare me e non io a scegliere lui. Certo, il suo titolo, la sua copertina, che sono i dettagli su cui nella maggior parte dei casi si basa la mia decisione ultima, non sono opera del libro stesso. Il libro stesso non è opera di se stesso. Tuttavia si può vederla in un modo curioso. È come se un po' della vita che ha dato vita a quel libro ci si fosse trasferita e quel libro, un libro, sia in grado di respirare, sentire e parlare, così come quelli che contiene, così come quelli che l'hanno creato.

Il libro con cui mi intrattenevo prima di sentire l'irrefrenabile impulso di rubarvi un po' di tempo e informarvi di questa mia visione dei fatti, forse non così rara ma che mi piace considerare personale perché queste sono le parole che ho scelto per esprimerla io e non un'altra persona, mi ha chiamata per la combinazione di cui sopra, e per la concorrenza di un altro fattore, aka il volume del libro e, nonostante abbia rappresentato una spesa non poco consistente, non potevo ignorare la chiamata. Anche se ammetto che ultimamente i libri tendono a giocarmi brutti scherzi e a lasciarmi un po' delusa, e in piena crisi esistenziale, visto che -nonostante ne abbia il diritto- smettere di leggere un libro è una delle violenze più brute che possa fare a me stessa, generalmente i libri mi conoscono bene.

Tutto questo risponde davvero a un impulso istintivo, oltre che a un'assenza dalla tastiera un po' prolungata. Ma aspettavo di avere un'idea da sviluppare che non fosse una storia da raccontare. Nonostante abbia stupito me stessa e sia stata in grado di trovare l'ispirazione per delle storielle, con più o meno successo, questo sta a voi deciderlo e a me rimettermi alla vostra decisione, quello di cui su questo blog volevo scrivere erano proprio idee, riflessioni, conclusioni, opinioni, espresse in quelle forme dette inaccettabili per una tesina d'esame.

E per concludere questo sconclusionato discorso sui miei amici libri, un libro, per quanto lo possa ricordare fisicamente e -per noi- grammaticalmente, non è affatto un oggetto. Un libro è vita, sono tante vite che respirano, sentono, parlano. E mi chiamano.

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